Le 4 cause della crisi di liquidità aziendale [#5]
In questo articolo vediamo 4 cause della crisi di liquidità e quali accorgimenti si possono adottare per prevenirla.
Dirò una cosa fortemente scontata: le imprese, per sopravvivere, devono avere entrate maggiori delle uscite. Semplice e chiaro a tutti, eppure i casi di crisi di liquidità sono all'ordine del giorno. Questo accade per diversi motivi, ma in primis, perché non si hanno le competenze adeguate per implementare un sistema di controllo e gestione della liquidità che permetta di tenere sott'occhio la situazione economica - finanziaria.
Per evitare di trovarsi in queste "situazioni ansiose", consiglio vivamente a chi ha responsabilità decisionali di imparare/approfondire la gestione finanziaria, fino ad arrivare a padroneggiarla (altrimenti diventa difficile far crescere l'attività).
Cosa significa nello specifico crisi di liquidità?
È quella condizione finanziaria in cui l'impresa non riesce a far fronte alle spese e alle obbligazioni per assenza o scarsa disponibilità di denaro. Non è raro, nella mia professione di consulente d'impresa, incontrare aziende che hanno consumato gran parte delle risorse finanziarie per gestire l'attività e non riuscire, quindi, a coprire tutti i costi aziendali. Un andamento positivo del cash flow si verifica quando l'ammontare delle entrate supera quello delle uscite; viceversa, un andamento negativo del cash flow indica che l'impresa spende più di quanto incassa.
Quali sono i segnali di una carenza di liquidità?
Non bisogna sottovalutare sistematicamente i segnali che potrebbero condurre l'impresa ad un disequilibrio finanziario. E ci sono dei segnali che, se presi in tempo, possono risanare le condizioni critiche legate alla carenza di liquidità:
Incapacità (ripetuta nel tempo) di saldare imposte e contributi alle scadenze;
Ritardo nel pagamento dei fornitori, col rischio di compromettere i rapporti di fiducia tra le parti;
Difficoltà nel pagare regolarmente mutui e finanziamenti o sforamento dei fidi concessi dalla banche;
Necessità di fare "finanza creativa" con il bilancio (pratica scorretta, ma diffusa in Italia) per evitare di vedersi ristretto il credito concesso dalle banche;
Incapacità di garantire stabilmente un compenso al lavoro del titolare dell'azienda;
Assenza di fondi per l'espansione dell'attività imprenditoriale;
Quali sono le cause che portano ad una crisi di liquidità?
Se non si mette ordine alle entrate e alle uscite si possono manifestare "momentanei" crisi di liquidità. Esaminiamo alcuni fattori, che senza un sistema di controllo e gestione della liquidità, possono condurre a tensioni:
1°Causa di liquidità: Le tempistiche errate dei "Crediti verso i clienti" e dei "Debiti verso i fornitori"
Dare la possibilità al cliente di acquistare e pagare dopo un prodotto sicuramente facilita la vendita (e di conseguenza facilita anche la crescita del fatturato), ma equivale anche a far crescere i crediti e i tempi di incasso. aziendali. E cosa succede se gli incassi tardano troppo ad arrivare?
Si ha difficoltà a pagare i fornitori, le tasse, i dipendenti, le utenze e gli affitti... e per sostenere il maggior fabbisogno finanziario dell'impresa, almeno fino al giorno dell'incasso dei crediti, si ricorre spesso al debito bancario (da pagare poi insieme agli interessi passivi) o ai versamenti di capitale proprio o da parte dei soci/investitori.
Per evitare che ciò non si verifichi, ci sono 4 soluzioni:
Non concedere credito, ma farsi **pagare immediatamente** (è quello che tendenzialmente fanno le B2C - pensiamo ai supermercati che incassano immediatamente una volta che il cliente ha acquistato).
Cedere i crediti difficili a una banca, che può anticipare le fatture dei clienti insolventi (operazione delicata che va compiuta se si ha ragionevole certezza di recuperare i crediti);
Rinegoziare gli accordi con clienti per scongiurare abbondanti crediti inesigibili e proponendo termini di pagamento più favorevoli o uno sconto in fattura in cambio di un pagamento immediato;
Continuare a concedere credito, ma gestendo correttamente l'equilibrio finanziario (e quindi della liquidità) attraverso un'analisi del ciclo monetario del capitale circolante - ne parlerò successivamente con un caso studio che ho personalmente seguito in qualità di consulente - utile a comprendere quanti soldi ha costantemente bisogno l'impresa per svolgere le proprie attività di acquisto, trasformazione e vendite quotidiane.
2° Causa di liquidità: vendite lumaca
Anche le vendite a rilento possono essere una delle cause di crisi di liquidità, perché gli incassi non tardano a causa delle errate politiche gestionali del credito, ma per l'allungarsi del tempo della vendita. Ad esempio, il fenomeno sanitario del Covid ha paralizzato le vendite di molte imprese. Non a caso molte hanno rivisto le spese gestionali per evitare che il prosciugamento del flusso di cassa li conducesse al fallimento.
In quel periodo, il calo improvviso delle vendite, ha fatto crescere a dismisura le scorte di magazzino (si pensi ad esempio il settore automotive). In ogni caso, le vendite lumaca, generano accumulo di scorte, allungano i tempi di giacenza e assorbono liquidità aziendale, in quanto, l'impresa, nel frattempo, deve far fronte al pagamento dei fornitori (uscita di cassa prima dell'incasso derivante dalla vendita).
In questo caso la cosa giusta da fare è analizzare alcuni indici legati alle giacenze di magazzino, ai crediti e debiti derivanti dall'attività commerciale (in modo da poter migliorare l'utilizzo del proprio capitale).
In primis va calcolato l'indice di rotazione delle Scorte:
1Indice di Rotazione delle scorte** = Costo dei prodotti venduti/ Totale scorte finali
L'indice di rotazione delle scorte è espresso in termini unitari e indica il numero di volte in cui le scorte si trasformano in volume di attività, cioè quante volte nel corso dell’esercizio è stato necessario ricostituire le giacenze in magazzino, e quindi, la velocità di rigiro, nell'arco annuale, delle giacenze di magazzino complessivamente considerate.
Una volta determinato l'indice di rotazione delle scorte, possiamo esprimerlo anche in termini di durata. Cioè ci determiniamo il periodo medio di copertura del magazzino. Questo indice, infatti, esprime in giorni il tempo medio di giacenza delle scorte in magazzino complessivamente considerate.
Matematicamente si avrà:
Periodo medio di copertura di magazzino 365/Rotazione delle scorte
Più piccolo è l'indice, migliore sarà la performance aziendale (tempi di rotazione delle scorte più veloci).
Risulta utile anche determinare I’indice di Rotazione dei crediti commerciali.
Esso viene ottenuto dal rapporto tra le vendite nette a credito effettuate durante l’anno e il totale dei crediti commerciali indicati in bilancio (al netto del valore dell’Iva che deve essere scorporata).
Tale indice è dato dal seguente rapporto:
2Indice di rotazione dei crediti** = Vendite nette a credito/ Crediti
L'indice di rotazione dei crediti, in parole elementari, indica quante volte un euro di credito si trasforma in ricavi durante l'anno, ed esprime, quindi, il numero di volte in cui i crediti derivanti dall'ordinaria attività commerciale si sono mediamente rinnovati nell'esercizio e misura un miglioramento quando aumenta.
Ad esempio, se l'indice di rotazione dei crediti è pari a 4, vuol dire che ogni 3 mesi (12 mesi/4) il credito concesso si trasforma totalmente in ricavi.
Stesso ragionamento per la Rotazione dei debiti, che è dato dal seguente rapporto:
3Indice di Rotazione dei debiti** = Acquisti a credito/ Debiti Commerciali
Cosa rileva l'indice di rotazione dei debiti? Indica il numero di volte in cui i debiti** derivanti dall'ordinaria attività commerciale si sono mediamente rinnovati nell'esercizio. Misura un miglioramento quando diminuisce.
Ora, se l'indice di Rotazione dei debiti è 3, vuol dire che ogni 4 mesi ho estinto i miei debiti.
E se sono un tipo analitico e metto a confronto
l'indice di rotazione dei crediti dell'esempio precedente (pari a 4);
con l'indice di rotazione dei debiti (pari a 3),
quale informazione posso estrapolare? È una situazione felice per l'attività?
In questo caso l'impresa trasforma i crediti in liquidità ogni 4 mesi e paga ogni 3 mesi i debiti a breve termine. Per la liquidità aziendale, sarebbe meglio se fosse il contrario: l'azienda riscuote crediti ogni tre mesi e salda i debiti ogni 4 mesi.
Per un'impresa riscuotere prima di pagare è un obiettivo ragionevole da perseguire e per far ciò deve mantenere l'indice di rotazione dei crediti più grande dell'indice di rotazione dei debiti.
3° Causa liquidità: Sovraindebitamento.
Questo accade quando le passività correnti (debiti nei confronti delle banche, fisco, fornitori, eccetera), ovvero quelle che scadono a breve termine (entro i 12 mesi), sono maggiori delle attività correnti, cioè di quelle attività che possono trasformarsi in liquidità entro i 12 mesi. Infatti se le attività correnti non sono maggiori delle passività correnti, si altera l'equilibrio finanziario (con tutte le conseguenze del caso).
Nel grafico sono riportate le attività e passività correnti di due imprese (Birrificio e Tessile). La prima, il birrificio, presenta delle Attività correnti maggiori delle Passività correnti, mentre la seconda, l'impresa Tessile, delle Attività correnti minori delle Passività correnti. Potenzialmente la posizione di liquidità della prima è migliore della seconda, perché, se, all'improvviso, le passività correnti dovessero essere estinte, la prima avrebbe delle attività correnti da trasformare velocemente in liquidità, mentre la seconda potrebbe avere problemi di solvibilità.
Come faccio a misurare la posizione di liquidità a breve termine di un'impresa?
Devi confrontare i valori delle "attività correnti" con le rispettive "passività correnti". Qui vengono illustrati 2 metodi per misurare la solvibilità a breve termine e, quindi, la sua "rischiosità" finanziaria a breve:
Per primo viene calcolato l’indice di liquidità generale o indice di disponibilità (in inglese: current ratio) dato dal rapporto tra Attività Correnti (C) e Passività correnti (P).
Current ratio = Attività Correnti/Passività correnti;
Il quoziente in oggetto compara le attività correnti con le passività a breve termine evidenziate nello Stato Patrimoniale Riclassificato.
Indica l'attitudine dell'impresa a far fronte alle uscite future derivanti dall'estinzione delle passività correnti, con i mezzi liquidi a disposizione e con le entrate future provenienti dal realizzo delle attività correnti.
Quest'ultimo viene solitamente espresso in termini unitari. Il suo campo di variabilità va da zero (assenza di attività correnti) a uno (attività correnti = passività correnti) e da uno in poi (attività correnti via via più elevate delle passività correnti):
Un rapporto inferiore a 1 generalmente è interpretato negativamente, segnala possibili problemi di solvibilità. Bisogna però considerare che tale rapporto misura il bilanciamento tra attivo corrente e passivo corrente esistente a un certo istante, non tenendo conto di cosa succederà ai nuovi incassi da vendite e ai nuovi pagamenti in futuro, e delle frequenze con cui si manifestano gli incassi e i pagamenti.
Un rapporto prossimo a uno generalmente viene interpretato una condizione limite perché se tale valore dovesse scendere potrebbe segnalare problemi di solvibilità;
Un rapporto vicino a 2 generalmente viene interpretato positivamente, perché le attività correnti sono superiori alle passività correnti.
In sostanza questo indice segnala la capacità dell’azienda di estinguere le passività correnti con i mezzi liquidi a disposizione e con quelli derivanti dall’estinzione delle attività correnti.
È un indicatore piuttosto grezzo che non mi permette di valutare a priori se tutte le rimanenze si trasformeranno in risorse finanziarie e inoltre non esamina la sincronizzazione tra le entrate e le uscite.
Possiamo anche calcolarci un secondo indicatore di liquidità più preciso, denominato indice di liquidità primaria (in inglese: quick ratio), dato dal rapporto tra la somma delle Liquidità immediate e Differite e le Passività correnti.
Quick ratio = (liquidità immediate + Differite)/Passività Correnti
dove
Liquidità immediate = es. disponibilità in cassa e banca; titoli immediatamente vendibili;
Liquidità differite_ = Commerciali (es. crediti verso clienti); Finanziarie (es. crediti finanziari; titoli non “immediatamente” liquidabili);
Passività Correnti_ = passività a breve, estinguibili entro l’anno di esercizio; passività che si rinnovano per rotazione (es. debiti verso fornitori); passività a breve in senso stretto (es. rate di mutui in scadenza nel breve; versamenti tributari; dividendi).
Il quoziente in oggetto compara le attività a breve al netto delle scorte con i debiti a breve termine, ed esprime il grado di copertura dei debiti a breve con le liquidità immediate e differite.
Ma perché si calcola un altro indice di liquidità togliendo le scorte dal numeratore? Perché togliere le scorte ci permette di valutare con maggiore precisione la capacità dell’impresa di far fronte ai debiti a breve scadenza utilizzando solamente attività a breve scadenza;
Quindi, non considerando le scorte (e cioè le voci di attività più rischiose come incasso perché ancora da vendere), il risultato ottenuto stabilisce in modo prudenziale quali saranno potenzialmente gli incassi certi futuri.
Il Quick ratio viene espresso in termini unitari e il suo campo di variabilità va da zero (assenza di liquidità immediate e differite) a uno (liquidità immediate e differite = passività correnti) e da uno in poi (liquidità immediate e differite via via più elevate della passività correnti). Chiaramente, quando il rapporto diminuisce, il rischio finanziario a breve aumenta perché aumenta la probabilità di non essere solvibili nel breve periodo.
L'indice di liquidità primaria, in sostanza, segnala la capacità dell’azienda di svolgere la propria gestione in condizioni di liquidità.
4° Causa: Margine di contribuzione inadeguato a coprire i costi fissi aziendali.
"Quanto dovremmo vendere per avere un risultato di 10.000 euro al mese?" o "Quanto dovremmo vendere per evitare di andare in perdita?" sono domande a cui spesso molti impresari non sanno rispondere. La risposta è nel concetto di margine di contribuzione.
Cos'è il margine di contribuzione? È l'importo residuo dei ricavi di vendita dopo aver dedotto i costi variabili. Perciò è l'ammontare disponibile per coprire i costi fissi e fornire utili per il periodo. Se il margine di contribuzione non è sufficiente per coprire i costi fissi, si registra una perdita nel periodo. Le motivazioni per cui non è sufficiente sono molteplici:
costi maggiori delle merci acquistate dai fornitori;
costi lievitati della logistica;
utenze maggiorate (es. il costo energia elettrica) per la produzione, eccetera.
Il margine di contribuzione è molto utile per determinare il punto di pareggio (break even point), cioè quel volume di vendite in corrispondenza del quale il reddito è pari a zero, ove i costi totali sono uguali ai ricavi totali. In corrispondenza di un volume di vendite inferiore a quello di pareggio ci si attende pertanto una perdita, mentre per volumi superiori si prevede un utile. Consiglio, laddove sia possibile, di costruire il diagramma del profitto per comprendere meglio il processo di formazione del reddito in funzione delle quantità vendute o dei ricavi.
Per migliorare il margine di contribuzione è possibile fare 3 cose:
rinegoziare coi fornitori le strategie di acquisto di prodotti e servizi, cercando di ottenere condizioni di prezzi più favorevoli;
adottare strategie di pricing più intelligenti per evitare prezzi di vendita troppo bassi e trovare ricavi unitari adeguati;
Scovare la giusta struttura dei costi variabili e fissi. Ad esempio, si possono ridurre i costi di produzione cedendo il lavoro ad altre imprese, oppure gestire più efficacemente i costi variabili legati al volume degli acquisti, gestendo il magazzino con logiche just in time. Ad ogni modo, le imprese con costi prevalentemente fissi (e poco variabili), conseguono redditi molto più alti rispetto alle imprese con costi prevalentemente variabili (e poco fissi). Però, d'altro canto, le imprese con molti costi fissi hanno il difetto di conseguire gravi perdite economiche nei momenti di contrazione delle vendite... sta nella dirigenza trovare la miglior combinazione di costi variabili e fissi che faccia ottenere una liquidità adeguata.
Ci sarebbe altro da aggiungere, ma per ragioni di sinteticità approfondisco ulteriormente nei prossimi articoli relativi all’analisi di bilancio. Grazie per aver letto fin qui.
Buono studio e buon raccolto, perché imparare cambia tutto.
Bibliografia
Il controllo delle entrate e delle uscite, Marcello D'Onofrio - FrancoAngeli;
Il valore posto al numeratore viene tratto dal Conto economico riclassificato. Quello posto al denominatore è dato dal totale delle rimanenze finali risultante dallo Stato patrimoniale riclassificato.Dato che le scorte sono valutate al costo, occorre misurare il livello delle attività non con i ricavi, che sono valutati con il prezzo di vendita, ma con il costo del venduto.In questo modo, sia il numeratore sia il denominatore, sono valutati al costo.
Il valore delle **vendite nette a credito**, posto al numeratore, non è un dato facilmente disponibile in azienda. Per poter procedere, allora, si considera, per approssimazione, il valore delle vendite nette risultanti dal Conto economico riclassificato. Il valore posto al denominatore è dato dalla somma dei crediti verso clienti e delle cambiali attive commerciali (al netto del rispettivo fondo rischi su crediti) risultanti dallo Stato patrimoniale riclassificato.
Anche il valore degli acquisti a credito (ad es. gli acquisti a credito dai fornitori) effettuati nel periodo, posto al numeratore, è un dato non facilmente disponibile in azienda e dunque, per approssimazione, si considera il valore degli acquisti risultanti dal Conto economico riclassificato. Il valore posto al denominatore è dato dalla somma dei debiti verso fornitori e delle cambiali passive commerciali, risultanti dallo Stato patrimoniale riclassificato.